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E se i 30 non fossero davvero i nuovi 20?

La domanda più frequente che un ventenne della mia generazione (me compresa) si fa prima di andare a dormire è: Cosa voglio fare della mia vita? La riposta più frequente ci diamo suona piu o meno così: Non lo so, va beh c’è tempo per pensarci! A prescindere dai nostri dialoghi interiori e dai problemi di insonnia che ne possono scaturire, l’intera società sembra essere pienamente d’accordo sulla questione: a vent’anni c’è ancora assolutamente tempo per fare tutto, non c’è fretta! Genitori, parenti, amici, conoscenti, giornali, programmi televisivi….tutti ci guardano con occhi rassicuranti e con atteggiamento bonario spronandoci a non angosciarci su quello che, dopo i 30, sarà un futuro pieno di soddisfazioni e successo.

E se così non fosse?

Dopo aver sentito l’intervento della dott.ssa Meg Jay a un recente TED Talks non ho potuto far a meno di esplorare un’altro punto di vista sulla questione. Nel passaggio che più mi ha colpito, la dottoressa chiede: Cosa succede se diamo una pacca sulla spalla a un ventenne e gli diciamo che ha ancora dieci anni per inziare la sua vita? …Niente, non succede assolutamente niente”. La dottoressa prosegue spiegando come “procrastinare” e “passare il tempo” nei nostri vent’anni, non faccia altro che aumentare in modo esponenziale la pressione sui gli anni che vanno dai 30 ai 35, quando tutto diventa piu’ complicato (anche a livello fiscico) e speso ci si ritrova a prendere decisioni tremendamente sbagliate -sia a livello lavorativo che sentimentale- perche all’improvviso non c’e’ piu’ tempo per reclamare una vita di successi e soddisfazione.

Da una parte la dottoressa Jay sostiene che questo nuovo trend sta togliendo alla nostra generazione l’ambizione e il senso si urgenza di costruire qualcosa di importante nelle nostre vite, distruggendo quel naturale processo di sviluppo dell’essere umano che ci dovrebbe portare a costruire le basi della nostra futura “identità adulta”. Dall’altra la nostra voglia di provare a metterci in gioco viene concretamente bloccata dalle reali difficoltà e dagli effettivi ostacoli nel trovare un lavoro e avere la stabilità necessaria per costruire una famiglia. Crisi economica, preponderante presenza di “baby-boomers” a livello decisionale, tecnologizzazione dei rapporti umani: la generazione dei nostri genitori ha avuto il suo ’68 per cambiare lo status quo. Quale sarà (se ci sarà) il nostro punto di svolta? E se non fosse una “redenzione” collettiva ma più che altro una lotta individuale?

La dottoressa ci consiglia di cambiare punto di vista e sforzarci di dimenticare la nostra crisi d’identità, muovendo verso la costruzione di un “capitale d’identità”. Concretamente parlando, investire nella persona che vogliamo essere in futuro è possibile e relativamente facile, ma come applicarlo in una realtà di possibilità non sempre illimitate?

Dalla mia privilegiata (o quasi) posizione di ventenne, temo di vedermi costretta a lasciare l’ardua sentenza proprio a me stessa negli anni a venire. Ma come dice la dottoressa Jay, se ci fosse un’idea valida da condividere con noi ventenni sul da farsi è proprio questo il momento migliore per ascoltarla e quindi ecco il mio piccolo contributo alla causa.